L'oracolo di Trofonio - Arte e mitologia

Fernanda Facciolli
Segno, colore e mito
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L'oracolo di Trofonio
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Per la mia interpretazione del nome “Trofonio” e la prima parte della descrizione di Pausania vedi qui.
Pausania ci spiega che chi voleva consultare l’oracolo, dopo aver passato alcuni giorni nella cappella del Buon Demone e della Buona Tyche, aver mangiato la carne dei sacrifici e sacrificato a Trofonio e ad altri dei, chiedeva ad un aruspice se sarebbe stato ben accolto da Trofonio e, se la risposta era favorevole, discendeva all’oracolo.
E prosegue:  “Per prima cosa durante la notte lo conducono al fiume Ercina. Portatolo là, due fanciulli nativi della città lo ungono d’olio e lo lavano. Essi hanno circa tredici anni e sono chiamati Ermeti… Quindi i sacerdoti <lo guidano> non direttamente all’oracolo, ma a due fonti d’acqua che stanno l’una accanto all’altra.
Qui (l’interrogante) bisogna che beva l’acqua detta di Lete (=dimenticanza), affinchè insorga in lui l’oblio di tutto ciò a cui pensava fino a quel momento e oltre a questa deve bere ancora un’altra acqua, quella di Mnemosìne (=ricordanza): per effetto di quest’acqua egli ricorda le cose viste nella discesa. Dopo aver contemplato la statua che dicono scolpita da Dedalo, statua che i sacerdoti non mostrano a nessun altro, ma solo a chi è in procinto di recarsi da Trofonio; dopo avere visto questa statua, averla venerata e supplicata, indossato un chitone di lino legato alla vita con sacri nastri e calzate pianelle di foggia locale, si avvia verso l’oracolo.
L’oracolo si trova sul monte al di sopra del bosco ed è circondato da un basamento circolare di marmo bianco. La circonferenza del basamento è come quella della più piccola delle aie, la sua altezza di poco inferiore ai due cubiti (un cubito era la distanza tra il gomito e la punta delle dita di un adulto, n.d.r.). Sul basamento si innalzano delle colonnette, di bronzo come le fasce che le collegano. Tra queste colonnette è ricavata una porta a due battenti. All’interno del recinto c’è un’apertura nel suolo non naturale, ma costruita con arte e proporzioni perfette.
<La> forma di questa costruzione somiglia a quella di un forno, l’ampiezza del suo diametro potrebbe raggiungere, a occhio, quasi quattro cubiti, la profondità della costruzione si potrebbe valutare che nemmeno essa arrivi a più di otto cubiti. Non hanno però costruito una scala fissa che scenda fino al pavimento, ma quando uno si reca da Trofonio gli portano una scala portatile stretta e leggera. Una volta scesi si trova un’apertura situata tra il pavimento e la parete della costruzione, ampia due spanne e alta, come sembrava, una spanna (la spanna era la distanza tra la punta del pollice e quella del mignolo di una mano aperta, cioè circa 23 cm., n.d.r.)
Chi scende, dunque, si adagia sul pavimento tenendo delle focacce impastate con miele, infila i piedi dentro l’apertura e vi entra col corpo, avendo cura che le ginocchia gli stiano all’interno dell’apertura. Ed ecco che il resto del corpo è bell’e stato trascinato via di corsa dietro alle ginocchia…Dopo questo momento, per chi è venuto a trovarsi all’interno del recesso, il modo in cui si apprende il futuro non è né unico né lo stesso per tutti, ma uno, poniamo, lo vede, l’altro se lo sente dire. La via per tornare indietro, per chi è disceso, passa attraverso la medesima apertura e sono sempre i piedi che corrono avanti.
Sostengono che non è mai morto nessuno di quelli che sono scesi, a eccezione di uno solo: …costui non osservò nel santuario alcuna cerimonia e discese non per consultare il dio, ma sperando di portare via dal recesso oro e argento. E si dice che il suo cadavere comparve alla luce in un luogo diverso e non fu espulso per la sacra apertura…
Quando uno è tornato su da Trofonio, di nuovo i sacerdoti lo ricevono e lo pongono a sedere sul seggio detto di Mnemosìne situato non molto lontano dal sacro recinto…Gli chiedono che cosa ha veduto e che cosa ha saputo e apprese le risposte lo consegnano definitivamente ai parenti. Questi se lo caricano addosso e, mentre ancora è in preda al terrore e ugualmente incapace di riconoscere sé stesso e il prossimo suo, lo trasportano in quella cappella dove anche prima aveva dimorato, presso il Buon Demone e la Buona Tiche. In seguito, però, riacquisterà tutti i suoi sentimenti non meno di prima e gli ritornerà la facoltà di ridere.
E scrivo questo non per averlo sentito dite, ma in quanto ho visto altri con i miei occhi e sono andato io stesso a consultare Trofonio.” (IX, 39, 7-14)
Nel capitolo successivo Pausania spiega che la grotta dell’oracolo fu scoperta anni prima in un perido di grave siccità, grazie all’osservazione di uno sciame di api che si introducevano all’interno dell’angusto pertugio. E’ sottinteso quindi che le api avevano trovato acqua all’interno del recesso.
 
Probabilmente le due acque adiacenti di Lete e di Mnemosìne erano quelle della grotta dell’oca e della cappella del Buon Demone e della Buona Tiche e la statua “scolpita da Dedalo” era una antica immagine di culto, non necessariamente di Trofonio, ma certo di una divinità arcaica del fiume, in legno di pino o di quercia (v. cheda n.17). I “sacri nastri” della veste del supplice dovevano essere un ricordo del “nodo di consacrazione” minoico o del Nodo di Iside. Il nome Ermete dato ad ognuno dei tredicenni che lo ungevano era un riferimento alla loro funzione di accompagnatori come il dio Ermes “psicopompo”, cioè “accompagnatore delle anime”.
 
Anche dopo aver digiunato, essere dimagrito ed essere stato unto d’olio, doveva essere un’esperienza terrificante infilarsi nella montagna attraverso un’apertura così stretta, a rischio di compressione del bacino, del torace e del cranio, e poi trovarsi imprigionato nel ventre della roccia, al buio. Certo, nell’antro di Trofonio c’era sicuramente qualcuno che ti aveva tirato per i piedi per farti entrare, ma probabilmente costui non si dichiarava come essere umano e forse ti guidava e sospingeva fingendosi lo spirito di Trofonio. Forse ti portava a sentire il rumore delle fonti sotterranee e con voce falsata dall’eco ti poneva delle domande e ti dava consigli.
Le acque che scorrevano nella montagna erano sicuramente le stesse che uscivano con gran fragore dalla grotta dell’oca (assordante ancora adesso), più quelle più tranquille della cappella del Buon Demone e della Buona Tiche. Suppongo che questo fragore, amplificato dall’eco della grotta chiusa, fosse tale non solo da impressionare, ma anche da frastornare e far vibrare in modo pericoloso e invalidante i timpani di chicchessia. Il quale, all’uscita, se non si trovava con il cranio incrinato, sicuramente era diventato mezzo sordo. Ma Pausania dice che, se anche egli non riusciva più a ridere per molto tempo dopo questa esperienza, non è mai morto nessuno.
Nell’oracolo dei morti (Nekromanteion) di Efira, in Epiro (Grecia centro-occidentale), pare che i sacerdoti ti introducessero in un labirinto fiocamente illuminato da torce e poi ti facessero scendere in una stanza sotterranea con una sacra spaccatura della roccia, da cui uscivano esalazioni sulfuree (come dal lago Averno, presso Cuma, in Italia). A questo punto sacerdoti nascosti dietro ai muri, con voci falsate, predicevano il futuro, forse anche facendo comparire dalle tenebre un fantoccio, per simulare un’ombra di trapassato.
Ma, mentre ad Efira il labirinto era tutto costruito e vi si poteva uscire per una normale porta, qui il buio era naturale e l’eco delle acque autenticamente impressionante. Ad Efira la paura era quella per le ombre dei morti, ma qui il terrore doveva dipendere dalla esatta percezione che ti trovavi nel ventre della terra e forse al ritorno non saresti più riuscito a passare per quella fessura.
La grotta sotterranea e il suo sacro ingresso sono state molto cercate dagli specialisti ma non sono ancora state trovate.
Io credo di sapere dove sono. Pausania dice che l’oracolo si trovava sopra al monte del bosco di Trofonio ed era coperto da una costruzione circolare a cupola che ricordava un forno. Esattamente sopra alla grotta dell’oca e alla cappella del Buon Demone, all’interno delle mura del Castello Franco, si trova una chiesa bizantina a cupola dedicata a S. Sofia, cioè la Divina Sapienza. Il nome riecheggia evidentemente la sapienza dell’oracolo di Trofonio e anche la forma esteriore assomiglia molto alla cupola descritta da Pausania. Sono perciò convinta che la chiesa sia stata costruita esattamente al di sopra della fossa da cui si accedeva all’oracolo antico. Purtroppo oggi la chiesa è in rovina e inavvicinabile, ma sono certa che darebbe grandi risultati lo scavo delle sue fondamenta.
 
In quest’opera ho voluto rappresentare lo spirito gigantesco di Trofonio nell’antro dell’oracolo. Lo dipingo con tre vasi d’acqua in grembo e con tre bocche che simboleggiano le sue tre voci, mentre gli interroganti, in basso a sinistra, lo supplicano di rivelare loro il futuro. Ho anche posto dei serpenti intorno alla sua testa, per alludere con il linguaggio figurativo degli antichi al suo legame con i corsi d’acqua. I colori sono quelli di un antro umido e buio, ma l’aureola gialla dietro alla sua testa lo identifica come figlio della luna, madre delle acque.

Fernanda Facciolli, dal libro "Con Pausania sulle tracce di Esiodo", Marcianum Press, Venezia, 2014, pagg. 96-99.
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